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Corte d'Appello di Bologna > Licenziamento individuale
Data: 17/08/2004
Giudice: Benassi
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 350/04
Parti: Angelo D. / Engines Engineering S.p.A.
LICENZIAMENTO ONTOLOGICAMENTE DISCIPLINARE: APPLICABILITA’ DELL’ART. 7 STATUTO DEI LAVORATORI – OPZIONE PER L’INDENITA’ SOSTITUTIVA DELLA REINTEGRA – OBBLIGO DEL RISARCIMENTO DEL DANNO FINO ALL’EFFETTIVO PAGAMENTO – PRINCIPIO DELLA SOCCOMBENZA NELLA CONDA


La Corte d’Appello di Bologna conferma, in un ennesimo caso di licenziamento “per mancanze”, il suo consolidato orientamento sulla natura ontologicamente disciplinare di un licenziamento che trova la sua motivazione in presunte inottemperanze alle disposizioni impartite da un superiore. Nel caso di specie il collegio, confermando sul punto la pronuncia del Tribunale di Reggio Emilia, giudice di primo grado, non ha ritenuto potessero considerarsi contestazioni le comunicazioni scritte della società datrice di lavoro che, pur esponendo con vivacità alcune doglianze, non denotavano in alcun modo la volontà di attivare una procedura disciplinare. La contestazione disciplinare infatti, secondo la Corte, pur non dovendo necessariamente essere analitica, deve rivestire il carattere delle specificità e contenere le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare il fatto o i fatti nei quali sono stati ravvisati infrazioni disciplinari, raffigurando l’addebito nella sua materialità. Il licenziamento di cui è causa è stato conseguentemente ritenuto illegittimo per violazione dell’art. 7 della legge n. 300/70 per difetto di valida preventiva contestazione disciplinare. Per quanto concerne le conseguenze sanzionatorie, in presenza di un’opzione del lavoratore a favore dell’indennità sostitutiva della reintegrazione, la Corte d’Appello puntualizza che secondo consolidata giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. n. 11609/03; n. 12514/03) l’obbligo di reintegrazione nel posto di lavoro ex art. 18 legge n. 300 del 1970 si estingue soltanto con il pagamento della indennità sostitutiva della reintegrazione, e non già con la semplice dichiarazione del lavoratore di scegliere tale indennità in luogo della reintegrazione. “Ne consegue che fino a quando permane l’obbligo del datore di lavoro di reintegrare, egli è tenuto al risarcimento del danno cui il lavoratore ha parimenti diritto, posto che il citato art. 18 comma quinto attribuisce al lavoratore la facoltà di optare per l’indennità sostitutiva, fermo restando il diritto al risarcimento del danno così come previsto dal quarto comma, e che il diritto a far valere quale titolo esecutivo la sentenza che, nel disporre la reintegrazione del lavoratore licenziato, ha attribuito a titolo risarcitorio le retribuzioni globali di fatto dalla data del licenziamento a quella della riassunzione, non viene meno per effetto della dichiarazione di opzione per le quindici mensilità comunicata al datore di lavoro, sino a quando quest’ultimo non abbia eseguito la suddetta prestazione” . La sentenza dei giudici d’appello si discosta invece da quella di primo grado sul punto della liquidazione delle spese legali, che il Tribunale di Reggio aveva compensato in ragione di una presunta condotta lavorativa del dipendente “ostinata e litigiosa, ai limiti dell’ostruzionismo e l’adozione di un comportamento certo legittimante il licenziamento..”. Secondo la Corte, a causa dell’insanabile vizio procedurale del licenziamento, non è stato possibile accertare nel merito l’esatto svolgimento dei fatti e, quindi, stabilire se il recesso fosse o meno assistito dalla giusta causa o da un giustificato motivo: le diverse “manifestazioni di opinioni personali del giudicante … in mancanza del necessario e completo accertamento dei fatti, non hanno alcun fondamento probatorio e … quindi non sono altrimenti utilizzabili, anche al solo scopo della statuizione delle spese. Poiché la domanda proposta dal lavoratore è risultata pienamente fondata - essendo stato il rapporto di lavoro bruscamente ed illegittimamente interrotto a seguito del non corretto esercizio del potere disciplinare da parte del datore di lavoro - in applicazione del principio di soccombenza di cui all’art. 91 primo comma c.p.c. La Corte ha posto a carico della società le spese di entrambi i gradi del giudizio